Innanzitutto ringraziamo dell’invito che ci dà l’opportunità di presentare alcune osservazioni e proposte relativamente alla nostra attività di “tartuficoltori”.

Con estrema franchezza ci sembra che il Piano Forestale Regionale ha inteso trattare l’argomento “tartufi” in una maniera a dire il vero molto semplicistica ed estremamente sintetica; se ne parla al paragrafo 3.2.16 di pag. 48 esaurendo l’argomento in 6 (sei) righe.

Come Associazione di tartuficoltori ci aspettavamo un po’ più di interesse su questa materia se non altro per il fatto che attualmente la nostra Regione sta modificando la L.R. 24/1991 “Disciplina della raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi nel territorio regionale e della valorizzazione del patrimonio tartufigeno regionale”.
In quella sede abbiamo potuto sostenere con forza due questioni che riteniamo assolutamente fondamentali:
1] il riconoscimento della “tartuficoltura” come attività agricola specializzata alla stregua di quanto espressamente indicato all’art. 1 della L.R. (Regione Marche) N. 5 del 03/04/2013;
2] l’inadeguatezza dell’aver assimilato le “tartufaie coltivate” agli impianti di arboricoltura da legno così come definiti all’art. 2, comma 5 del D.lgs. n. 227 del 18/05/2001; a tal proposito crediamo che anziché assimilare le “tartufaie coltivate” all’arboricoltura da legno e conseguentemente a tutte le Prescrizioni di massima e di Polizia Forestale, tale coltivazione debba essere assimilata più correttamente, anche sotto il profilo tecnico-agronomico, alla castanicoltura da frutto, alla frutticoltura, alla olivicoltura.

Nella L.R. Forestale (Regione Marche) N. 6 del 23/02/2005 all’art. 2 comma e) viene data la definizione di “BOSCO”:
qualsiasi terreno coperto da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva di origine naturale o artificiale ed in qualsiasi stadio di sviluppo, con un’estensione non inferiore ai 2.000 metri quadrati, una larghezza media non inferiore a 20 metri ed una copertura, intesa come area di incidenza delle chiome, non inferiore al 20 per cento, con misurazioni effettuate dalla base esterna dei fust.
Sono compresi tra i “boschi” i castagneti da frutto, le tartufaie controllate e la macchia mediterranea aventi le predette caratteristiche.
Non costituiscono “bosco” i parchi urbani, i giardini pubblici e privati, le alberature stradali, i castagneti da frutto in attualità di coltura, gli impianti di frutticoltura e di arboricoltura da legno, le tartufaie coltivate, i vivai e gli orti botanici

Nell’ambito del Piano Forestale Regionale, dobbiamo ancora una volta constatare che la “produzione di tartufi” è invece legata strettamente al tipo di governo del “bosco”, e questo mentre, tanto in collina che in pianura, tartufaie coltivate oggi vantaggiosamente in produzione hanno sostituito seminativi e frutteti con un evidente impatto positivo dal punto di vista ambientale.

L’assoggettamento di questa “coltura” alle regole di Polizia Forestale ha comportato il mancato riconoscimento del “prodotto tartufo” quale prodotto agricolo, in Italia ed in Europa, quindi l’assenza della tartuficoltura nei Piani di Sviluppo Regionali (PSR).

Vorremmo ricordare a questo proposito che l’Europa ha aperto una procedura di infrazione all’Italia per il mancato rispetto dell’I.V.A. come “prodotto agricolo” e per questo motivo il Viceministro Andrea Olivero sta tentando di ottenere, in tempi rapidi, la riduzione dell’I.V.A. dal 22 al 10%.

Sono questi limiti che causano una paralisi della tartuficoltura in Italia, mentre in Europa siamo oramai surclassati in fatto di investimenti e produzioni in questo settore produttivo (vedi in particolare in Spagna).
A livello mondiale sono molti i Paesi che oramai sono produttori di tartufo nero pregiato, abbiamo portato le nostre conoscenze tecnico-scientifiche agli altri senza metterle a frutto in casa nostra.
Questo è oramai tipico del nostro Paese.

Ci si preoccupa poi di acquisire una rappresentazione territoriale delle aree boscate a produzione o vocate alla produzione spontanea dei tartufi, tant’è che si dice che si sta elaborando la “carta delle aree tartufigene”, così come previsto dalla L.R. 24/1991 .
Ci siamo chiesti onestamente qual è lo scopo di questa complicatissima determinazione.
Sarebbe semplice, a nostro modesto avviso, e anche giuridicamente corretto, consentire ai conduttori che si impegnano al mantenimento e miglioramento delle superfici definite “controllate” (il che significa salvaguardare delle specie e dell’ambiente) la riserva senza limiti della raccolta e della commercializzazione del frutto da loro prodotto grazie al miglioramento effettuato allo scopo.

Ecco perché sosteniamo che le “tartufaie controllate”, al pari delle “tartufaie coltivate” non debbano essere assoggettate alle regole di Polizia Forestale, allorquando il conduttore abbia presentato un “piano colturale di massima” che deve essere approvato da chi di dovere e sottoposto ai dovuti controlli..

In ultima analisi ci preme sottolineare anche in questa sede che l’obiettivo principale deve rimanere quello della salvaguardia di quell’ambiente che, sempre con maggiore difficoltà, produce il tartufo, frutto affascinante e prezioso che deriva dalla collaborazione di tutta una serie di individui (visibili e non conosciuti e non, assieme ai quali l’uomo detiene un ruolo assolutamente fondamentale), che cooperano tutti per il raggiungimento di quel risultato in un equilibrio delicatissimo e oggi fortemente minacciato.

Siamo convinti, così come sosteneva il Mattirolo all’inizio degli anni 30, che fare “tartuficoltura” voglia dire fare rimboschimento con una metodologia economica (non conservativa); oggi possiamo tranquillamente affermare che si potrebbero migliorare i boschi degradati, favorirne il ringiovanimento e quindi limitare i danni idrogeologici e l’invecchiamento, favorendo la permanenza di forze lavorative agricole e l’insediamento di giovani che potrebbero trovare nella “tartuficoltura” motivo di grande interesse e non solo economico.

Crediamo infatti con assoluta convinzione e soddisfazione che il fare “tartufi” significhi anche fare “ambiente”.
E’ su questa tematica che vorremmo che il Piano Forestale Regionale che si intende approvare si confrontasse, approfondendola.
BOLOGNA, 15/06/2016

IL PRESIDENTE:                     IL CONSIGLIERE DELEGATO:
(Dott. Lucio Pierantoni)          (Dottore Agronomo Maurizio Pirazzoli)